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IL VERDETTO UCI SUL CASO ARMSTRONG

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di Ferdinando Cocciolo E venne il giorno del giudizio, non solo per il caso Armstrong ma anche per un ciclismo, o sarebbe meglio dire una parte del ciclismo, “colpevole” di aver  omesso, di non aver vigilato, di aver pensato soprattutto all’apparenza, ai successi, alle sponsorizzazioni, e non alla prevenzione senza limiti di quella “brutta malattia” chiamata  doping. L’UCI, finalmente, ha esaminato le carte dell’USADA (Agenzia Americana  Antidoping) che ha già radiato l’americano,  e ha revocato i 7 Tour de France vinti dal 1999 al 2005. È arrivato, dopo mesi di inchieste, di polemiche “incrociate”, di sospetti, di esitazioni, il momento della decisione, ed è un momento sicuramente “drammatico” che scrive quella pagina di storia del ciclismo che mai avremmo voluto leggere. Alzi la mano chi, qualche anno fa,  “ammaliato” dalle gesta agonistiche ed umane del fuoriclasse assoluto del ciclismo moderno, avrebbe pensato che tutto non avrebbe più avuto senso, che la passione pura avrebbe subìto un  “colpo mortale”, che la storia di Armstrong e di un pezzo importante dello sport a due ruote sarebbe stata riscritta. Lance Armstrong ha sempre negato, si è sempre difeso ostentando quella  sicurezza, quella padronanza che ha contraddistinto la sua carriera; una vita agonistica, ricordiamolo, messa in pericolo e a dura prova dal cancro. Ma negli ultimi venti giorni, dopo la decisione dell’ex portacolori dell’US POSTAL di rinunciare ad una difesa divenuta probabilmente impossibile, sono venuti alla luce episodi “scottanti”, rivelazioni, testimonianze, che lo inchiodano senza possibilità alcuna di replica. Ad essere  “incastrato”, tuttavia, non  è solo l’atleta che è stato capace di ingannare tutti con  “quell’aria orgogliosa e un po’ sofferente” costruita dopo essere “resuscitato” da sicura morte, ma un sistema più grande e complesso di quanto non potesse sembrare, nel quale l’americano ha ricoperto un ruolo “carismatico e centrale”, opera (ma l’interessato continua a negare) del solito dott. Michele Ferrari:  un sistema fatto di sottomissione  al “boss” al quale non si sono potuti sottrarre tutti i compagni di squadra nell’ US POSTAL. Leipheimer, Hincapie, White, i primi nomi che mi vengono in mente, non sono più per Lance Armstrong degli “ex compagni di squadra” ma traditori che denunciano apertamente le arroganze, le minacce del sette volte vincitore del Tour. “O ti dopi oppure per te saranno guai” avrebbe detto a qualcuno di loro il texano: ma quell’eroe coraggioso che ha stoicamente lottato contro il tumore, che ha fatto beneficenza, che è stato insignito dal presidente George Bush di onoreficenze importanti, che fine  ha fatto? Ed intanto, in Italia, la Procura di Padova che indaga sul dott. Michele Ferrari, come risaputo “uomo” di Armstrong, avrebbe “scoperchiato” una pentola piena zeppa di affari di doping, contratti falsi e riciclaggio di denaro che coinvolgerebbe  tra  gli  altri Michele Scarponi e  Domenico Pozzovivo. Insomma, un sistema così marcio che Nike e Trek hanno stracciato tutti i contratti  di sponsorizzazione. “Non accettiamo il doping in nessuna forma” hanno dichiarato i dirigenti Nike e Trek, ma intanto lui, Lance, intervenuto al quindicesimo anniversario della Fondazione Livestrong, dichiara: “Sono sereno, nella mia vita sono stato anche peggio“. Ma caro Lance, ormai non incanti più; l’UCI, quell’UCI pur tuttavia accusata di connivenza, ti ha infine tolto ciò che avevi conquistato con l’inganno e l’indimenticabile Fiorenzo Magni già si starà rivoltando dentro la tomba: faresti meglio ad essere sincero con te stesso e il mondo intero, che prima ti ha osannato, ora ti condanna, irreversibilmente.

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